martedì 11 marzo 2014

:: cinema 'Nebraska' (A. Payne)

E' impossibile non rimanere incantati di fronte alla ruvida dolcezza dell'ultimo lungometraggio diretto da Alexander Payne. Sullo sfondo di un Midwest quanto mai vuoto, disadorno e perfettamente ritratto da immagini a schermo largo in un malinconico b/n ingiallito, si muovono personaggi rozzi, ostili e pieni di difetti che, scena dopo scena, si imprimono nella mente divenendo quasi
familiari. Un film sobrio ed emozionante (nonostante la totale assenza di sentimentalismo ostentato), forse un po' troppo lungo ma sicuramente da vedere.
Di seguito una frase che -almeno per una notte- mi ha tolto il sonno e, come di consueto, alcune recensioni.

'- Suo padre ha l'Alzheimer?
- No, crede a quello che gli dice la gente.
- Non è un bene.
- Già...'

P. D'Agostini (La Repubblica): '[...] Le suggestioni evocate dalla provincia americana in bianco e nero di Nebraska, e il suo ammaccato personaggio principale, ci ricordano tante cose. Ci ricordano i primi film di Peter Bogdanovich, cultore con L'ultimo spettacolo del 'come eravamo' nella vita e nel cinema. Ci ricordano il film più anomalo di David Lynch, Una storia vera, il suo migliore secondo i più eterodossi tra i suoi estimatori. Ci ricordano la leziosa cinefilia di Wenders o di Jarmusch. Ci ricordano certi ruvidi e intrattabili tipacci del vecchio Clint Eastwood. [...]'
F. Ferzetti (Il Messaggero): '[...] Torna Alexander Payne, il regista di Sideways, A proposito di Schmidt, Paradiso amaro, con il suo humour crudele e insieme capace di incredibili chiaroscuri, come se disegnasse i personaggi col carboncino. Torna il sarcastico ma pietoso cantore di quelle vite comuni e forse sprecate, il regista che più di chiunque ha lavorato sul sentimento subdolo e oggi così diffuso dell'irrilevanza, della mancanza di senso, della piattezza che da un momento all'altro rischia di inghiottire vite, affetti, ricordi, orizzonti. [...]'
A. Crespi (l'Unità): '[...] Da tempo aspettavamo Alexander Payne al grande film, dopo una serie di prove convincenti, anche entusiasmanti, ma sempre nell'ordine del piccolo film d'autore indipendente. A proposito di Schmidt (con un notevole Jack Nicholson) e il delizioso Sideways (che ha creato un significativo fenomeno di cine-turismo nelle zone vinicole della California) erano tappe di una crescita artistica ineccepibile. Paradiso amaro era invece, a nostro parere, una pausa di riflessione, anche se lavorare con una star come George Clooney e guadagnarsi cinque candidature all'Oscar (di cui uno vinto, per la sceneggiatura) ha dato comunque a Payne una credibilità consolidata all'interno dell'industria hollywoodliana. [...]'
F. Pontiggia (Il Fatto Quotidiano): '[...] Arrancare e affrancarsi on the road, con un sogno in busta stropicciata: la promessa è la vincita di un milione di dollari, la terra il Nebraska, il passo malfermo, senile, trapassato remoto e, chissà, forse pure demente. Woody Grant (Bruce Dern, premiato a Cannes) scambia spam per felicità, la famiglia pensa all'ospizio, ma un figliol prodigo, David (Will Forte), si 'ricrede', lo mette in macchina e lo accompagna senza illusioni a incassare il fantomatico milione. [...]'

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Quasi più amara la tua recensione del film.
M.

B. ha detto...

Forse non sono riuscita a dire ciò che volevo dire. Comunque: complimenti a Bob Nelson (sceneggiatura), a Phedon Papamichael (fotografia) ed al direttore del casting (di cui non conosco il nome).