colonna sonora, fantastica la fotografia, azzeccatissimo il cast di attori (Ralph Fiennes, Tony Revolori, Edward Norton, Harvey Keitel, Jude Law, Willem Dafoe, Adrien Brody, Bill Murray, Léa Seydoux...). Probabilmente non sono la persona più adatta a fare commenti visto che amo in modo incondizionato le scelte narrative del regista ma credo che questa volta si sia davvero superato.
M. Porro (Il Corriere della Sera): '[...] In un incrocio ideale non solo di storia e geografia, ma anche di cultura, colore e grafica, con mutazioni di formato nello schermo, ironia e senso favolistico ma sempre con la finzione superstar, Anderson brucia a fiamma altissima la sua idea di cinema fulcro di periodi e sentimenti, sogni e incubi. [...]'
F. Ferzetti (Il Messaggero): '[...] questa favola tutta azione e humour parla di memoria, di trasmissione del sapere, insomma di eredità. Con un candore quasi infantile ma chiazzato di sesso e morte [...] un trionfo di invenzioni e divertimento, dunque, sospeso come l’immaginaria repubblica di Zubrowska nel regno della fantasia, ma bagnato di realtà [...] Frivolo, malinconico, irresistibile [...]'A. Levantesi Kezich (La Stampa): '[...] Per anni i film di Wes Anderson ci sono apparsi espressione di un sicuro talento e però di gusto troppo intellettuale e divagatorio. Ma con Moonlight Kindom il cineasta ha raggiunto una perfetta misura poetica che ora trova conferma in Grand Budapest Hotel: incantevole commedia ambientata in un’immaginaria repubblica di Zubrowka, in un’Europa primi ’900 che non c’è più [...] Ne viene fuori un pastiche che svaria dalla farsa al melò all’avventura rocambolesca, intinto fra nostalgia e ironia di colori pastello e giocato su una stilizzazione da cartone animato cui, in un cast pieno di prestigiosi cammei, si conformano tutti gli interpreti. A partire da un fantastico Ralph Fiennes. [...]'D. Zonta (l'Unità): '[...] The Grand Budapest Hotel, film d’apertura dell’ultimo Festival di Berlino, ripropone ancora una volta una fuga e un viaggio, questa volta in un Europa immaginaria [...] Quello di Anderson è un cinema di modellini; anche quando veri e con dimensioni di uno a uno, i suoi luoghi sembrano sempre 'in scala', spazi e personaggi come figurine sottoposti alle regole e all’immaginario ricchissimo, e devoto, di questo americano transfuga verso le rotte europee del cinema [...]'
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