le numerose immagini che, assieme all'interpretazione di Tony Servillo, rendono il film spettacolare. E se è vero che la narrazione è spesso frammentata e forse troppo ambiziosa, è anche vero che (come dice Céline nel suo viaggio al termine della notte citato a inizio film) ogni lungo viaggio porta con sé degli elementi di discontinuità. Di seguito alcune recensioni.
D. Zonta (mymovies.it): '[...] La grande bellezza sembra essere un film geologico, come fosse l'affioramento improvviso di una stratificazione con i suoi tanti livelli sovrapposti e confusi; sembra essere un film archeologico, come fosse il ritrovamento di un'antica stanza romana con i suoi patrizi e le sue vestali. Sembra essere un film senile, come fosse la lettura postuma del diario di un vecchio dandy che ha vissuto nella Roma degli anni duemila. Sembra essere un film di fantasmi usciti dalla penna di uno scrittore fin troppo compiaciuto della sua arte e del suo mestiere. Infine, sembra essere la risposta erudita e d'autore al To Rome With Love contraltare e vendetta alla cartolina di Woody Allen, con qualche traccia di troppo dell'impeto trascendentale di un Terrence Malick cattivo maestro. [...]'
S. Foundas (Variety): '[...] Un’ intensa e spesso sorprendente festa cinematografica che rende onore a Roma in tutto il suo splendore e la sua superficialità. [...]'
A. Crespi (l'Unità): '[...] La grande bellezza va visto. Ci stiamo ancora interrogando sulla sua vera natura, che sfugge a una definizione precisa almeno dopo una sola visione: Diciamo subito che è visivamente magnifico, a tratti fin troppo: Sorrentino fa fare le capriole alla macchina da presa e Luca Bigazzi 'firma' ogni inquadratura da presa manco fosse Storaro, e ogni tanto si sente quasi la voglia di un’immmagine trovata, non troppo studiata, alla Rossellini [...] Gli attori sono tutti magnifici, il film ha momenti di toccante lirismo [...] La grande bellezza è la visione onirica di un regista che si cala nella volgarità contemporanea cercando disperatamente un riscatto che lasci intravedere una salvezza. [...]'
N. Aspesi (Repubblica): '[...] Con La grande bellezza (accolto ieri dagli applausi della stampa internazionale; e da oggi il film è nelle sale italiane) Paolo Sorrentino sembra voler convincere che sì, quella che racconta è davvero 'una Babilonia disperata' nel cuore oscuro e invidiato della capitale: e sembra riuscirci con la forza delle immagini e i virtuosismi visivi (di Luca Bigazzi), con il montaggio implacabile (di Cristiano Travaglioli), la colonna sonora (di Lele Marchitelli), che stordisce con la disco music e incanta con la musica sacra, una sceneggiatura (di Sorrentino, che è un vero scrittore, e Umberto Contarello) veloce e crudele. Non è più il tempo, 1960, della Roma di La dolce vita di Fellini, con il suo ormai perduto paradiso di confusione e peccato, né quello, 1980, della Roma di La terrazza di Scola, in cui politica e cultura erano già un pretesto di vite intaccate da indifferenza e corruzione. Ma La grande bellezza, 53 anni dopo Fellini e 33 dopo Scola, è altro, e all’inizio del film l’autore lo spiega con l’esergo tratto da Viaggio al termine della notte di Céline: 'Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco, la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato.' [...]'
P. Mereghetti (Il Corriere della Sera): '[...] Perché il nodo di un film ambizioso e misterioso insieme, a volte affascinante nella sua visionarietà, è proprio questo, di un dialogo fin troppo ricercato nella sua letterarietà e che finisce per apparire ridondante e persino sentenzioso. Come se lo sceneggiatore non fosse al servizio del regista ma in gara con lui, alla ricerca di un attestato di bravura doppia (scritta e visiva) che però fatica ad arrivare [...] Ecco, nonostante gli sforzi del Sorrentino regista (e degli attori, tra cui vanno ricordati almeno Iaia Forte, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Isabella Ferrari e Robert Herlitzka), il Sorrentino sceneggiatore dà l'impressione di voler percorrere una strada diversa, fatta di troppe citazioni letterarie (Celine, Flaubert due volte, Bellow, Dostoevskij e ne dimentico) e di facili giochini (Romona, Roman, Roma... Era proprio necessario?) alla fine dei quali ti sembra di ritrovarti al punto di partenza, senza aver capito molto della bellezza (e della bruttezza) di Roma. [...]'
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