Merita sicuramente di essere visto il nuovo lungometraggio di Mario Martone. Anche solo per Elio Germano e la sua magistrale interpretazione di Leopardi o per la destabilizzante ma fascinosissima alternanza di composizioni classiche e pezzi elettronici di Apparat (al secolo, Sascha Ring). Tuttavia
trovo che l'architettura generale del racconto non sia particolarmente originale e che alcuni passaggi siano fin troppo manieristici. Forse speravo semplicemente di vivere emozioni più forti, non so. Ma dal biopic di uno dei maggiori poeti dell'ottocento italiano non potevo che aspettarmi qualcosa di più. Di seguito, come di consueto, qualche critica.
M. Porro (Il Corriere della Sera): '[...] bellissimo, educativo, ma non scolastico film di Martone su Leopardi [...] Diviso in scultorei blocchi narrativi, il film respira di uno sfarzo che viene dalla cultura non dal budget, dalla forza dell’introspezione a immagini, dal piccolo punto psicologico del montaggio di quadri. Elio Germano, strepitosamente sofferente è anche consapevole, come si guardasse vivere: indimenticabile mentre struscia sulle pareti polverose di pergamena di libri, abbandona la 'vile prudenza' e invoca il potere del Dubbio che salva dal tanto amato silenzio. [...]'
F. Ferzetti (Il Messaggero): '[....] Martone dà il meglio del suo cinema materico e onirico, fino al magnifico finale della Ginestra, in cui mondo fisico e mondo interiore si sommano e si confondono, un po’ come le immagini del regista e i versi di leopardi. Mentre Germano tocca il culmine di un’interpretazione sofferta e straniata cui il film deve molta della sua forza. [...]'
A. Levantesi Kesich (La Stampa): '[...] Di Il giovane favoloso di Mario Martone - per no i il Leone d’oro della scorsa Mostra di Venezia - avevamo parlato come di un ritratto di Leopardi, diviso in tre ideali movimenti che avvitano il filo biografico al filo dell’opera, come aveva fatto il poeta stesso in quello sterminato diario che è lo Zibaldone: un condensato di stati d’animo, appunti, riflessioni, intuizioni filosofiche, che costituiscono una sorta di bozza dei suoi sublimi capolavori. [...]'
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