giovedì 11 agosto 2011
:: tv o non tv, questo è il problema...
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Negli ultimi mesi combatto con un dilemma piuttosto importante: spacchettare la tv e trovargli una collocazione post-ristrutturazione-casa o riporla definitivamente in soffitta?
Un articolo di M. Pananari su la Stampa mi fa sentire meno sola in questo momento di completo rigetto dell'informazione via cavo quindi ho deciso di estrapolare qualche pezzo e condividerlo con voi.
"[...] Ai tantissimi che in queste giornate e serate d’agosto (complice, non da ultimo, la crisi economica da cui molte famiglie sono state forzate a rinunciare alle ferie), restano a casa, il piccolo schermo di quella che è sempre stata anche una Repubblica fondata sulla tv offre un menù a base di riproposizioni di vecchi varietà, polizieschi con cani germanofoni, o stagionate pellicole (di cui si è perso il numero delle repliche) genere La principessa Sissi. Nel frattempo, la Norvegia è sconvolta dalle stragi del terrorista Breivik, i terremoti nelle Borse di tutto il mondo si susseguono senza sosta, Londra brucia a causa dei tumulti, e il telespettatore dei principali canali in chiaro nazionali (con la lodevole eccezione del tg e dei programmi de La7) non trova talk show, finestre informative, approfondimenti di alcun genere in grado di aiutarlo a comprendere un’attualità che muta alla velocità della luce, lasciandoci sempre più senza fiato. [...]"
"[...] Secondo il sociologo Manuel Castells, la comunicazione non è soltanto essenziale per formare l’opinione pubblica che deve controllare il sovrano e il potere politico (la famosa tesi di Habermas), ma produce direttamente «società», a maggior ragione, e in maniera davvero decisiva, nell’età postmoderna. La velocità e la complessità di eventi e immagini rilancia così l’importanza e l’indispensabilità - a dispetto di certi fans integralisti dell’orizzontalità assoluta della comunicazione - delle figure dei mediatori (giornalisti, conduttori, anchormen) ovviamente seri e non (quanto meno esageratamente) partigiani. E rende fondamentale la nozione di servizio pubblico - che è recentemente caduta un po’ troppo nel dimenticatoio - applicata al campo dell’informazione televisiva (del resto, si paga un canone proprio per questo, o no?). Il servizio pubblico di una nazione industriale (o postindustriale) avanzata, e che risente molto duramente dei colpi della tempesta finanziaria, non può dunque andarsene in ferie sic et simpliciter, come fossimo ancora varie ere geologico-televisive fa. [...]"
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2 commenti:
Pur avendo moltissimi amici che preferiscono non avere la tv io non riesco a farne a meno. Nel mese di giugno ho seguito due programmi splendidi su rai 3: Sei miliardi di altri e Hotel patria. Qualcosa, tutto sommato, si riesce a salvare.....
E' vero Trilli, qualcosa si riesce a salvare e talvolta raggiunge anche buoni livelli. Più ci penso più la scelta diventa difficile...
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